La storia di Maricia Roccaro, la dottoressa che ha scoperto di avere la malattia di Fabry

La nefrologa siciliana si è sottoposta al test diagnostico insieme ai suoi pazienti: “arrivati i risultati, c’era solo una donna positiva… ero io” 

Catania – Non è infrequente che una persona affetta da una malattia rara fin dalla nascita scelga, crescendo, di diventare medico e di studiare la patologia con la quale deve convivere. La storia che raccontiamo è molto diversa e più inconsueta: è quella di un medico che, nel testare i suoi pazienti per una condizione rara, ha deciso di sottoporsi anch’essa all’esame, scoprendosi positiva. La dr.ssa Maricia Roccaro è una nefrologa, oggi direttore sanitario del Centro Emodialisi di Bronte, in provincia di Catania. Nel 2016 ricevette la visita di un informatore scientifico che le propose l’opportunità di fare uno screening ai suoi pazienti emodializzati, per ricercare eventuali casi di una malattia genetica rara, la malattia di Fabry.

“Al tempo avevo solo dei sintomi blandi, come astenia, dolore migrante e strane manifestazioni neurologiche, ma il mio sesto senso mi diceva che c’era qualcosa che non andava: infatti pensavo di avere la sclerosi multipla”, racconta la dr.ssa Roccaro. “Così decisi di fare anch’io il prelievo, e quando arrivarono i risultati vidi che c’era solo una paziente donna positiva… ma non pensavo assolutamente di essere io! Rimasi molto scossa emotivamente: pensai alle cose più brutte, controllai i dati sulla mortalità, ero davvero spaventata. Conoscevo la malattia solo superficialmente, anche se per ironia della sorte avevo affisso un poster informativo in ambulatorio. Intanto la notizia si era diffusa nel Centro Dialisi di Catania, dove lavoravo allora: di lì a poco avrei dovuto partecipare a un convegno proprio per illustrare i risultati di quel test, ma ovviamente rifiutai”.

La malattia di Fabry può provocare danni a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso: per questo motivo la dottoressa, nei mesi seguenti, fece delle analisi, fra cui una risonanza magnetica, alla ricerca di problemi neurologici e scoprì di aver avuto una piccola ischemia passata inosservata. Ma la notizia peggiore doveva ancora arrivare: anche i suoi due figli, di 10 e 12 anni, dopo aver fatto il test, sono risultati entrambi positivi, pur se in assenza di alterazioni enzimatiche. Fortunatamente non manifestano sintomi, se non, a volte, dolore ai piedi, episodi febbrili senza causa apparente e sfumati sintomi gastrointestinali: per loro non si è quindi resa necessaria la terapia enzimatica sostitutiva (ERT).

“Sull’inizio della terapia non ci sono delle linee guida univoche, e anch’io all’inizio ho considerato le tante variabili: la mia è una mutazione che non produce gravi problematiche cliniche e non è causa di sintomi renali. Poi, non avendo gli strumenti per decidere, ho seguito il consiglio della neurologa e ho scelto di farla. Ho iniziato l’ERT – un’infusione ogni 14 giorni – nel dicembre 2017, al Policlinico di Palermo, quindi a oltre duecento chilometri da casa: ciò significava dover prendere due giorni di ferie al mese, 26 giorni l’anno. Poi, dopo le prime otto infusioni, ho iniziato a farla a domicilio, con il servizio infermieristico fornito dall’azienda produttrice del farmaco: è decisamente più comodo, e posso mettermi d’accordo con l’infermiere sugli orari”, prosegue la dr.ssa Roccaro, che fa parte anche del consiglio direttivo di AIAF, l’Associazione Italiana Anderson-Fabry.

Purtroppo, ad oggi, non in tutte le Regioni italiane è possibile accedere a questa opportunità. In questi mesi di emergenza l’home therapy è diventata un diritto ancor più irrinunciabile per i malati rari, che non possono continuare a recarsi presso gli ospedali, rischiando il contagio da COVID-19. L’AIAF sta combattendo questa battaglia e recentemente, insieme ad altre associazioni, ha presentato un appello alle istituzioni affinché rendano questo servizio uniforme su tutto il territorio nazionale, così come propone l’emendamento della senatrice Binetti”,

La nefrologa è molto attiva nel campo del volontariato: nel 2013 ha fondato un’associazione chiamata Humanity, per sensibilizzare i medici sui problemi delle persone meno abbienti; l’obiettivo è fornire assistenza sanitaria e socio-assistenziale ai malati fragili non autosufficienti che vivono in famiglie disagiate. “La mia vita è cambiata: ho una maggiore sensibilità e non voglio che la malattia rimanga un fatto confinato alla mia vita personale. Sono convinta che la Fabry sia rara solo in quanto sotto-diagnosticata: anch’io ero abituata a fare diagnosi conclusive, senza pensare che certi sintomi potessero sottendere una malattia rara, mentre ora ho una maggiore consapevolezza. Ad ogni modo la diagnosi non è semplice: sono note più di 600 mutazioni (quelle classiche), ma non sempre la malattia è conclamata”, sottolinea.

Un grande passo in avanti per la lotta contro le malattie rare come la Fabry è stato fatto con la recente approvazione dell’emendamento Noja, che propone alcune importanti modifiche alla legge 167/2016 sullo screening neonatale esteso”, conclude la dottoressa. “Soprattutto ha il merito di stabilire un termine preciso entro cui il Ministero della Salute dovrà completare il processo di revisione e ampliamento del panel di malattie che è possibile diagnosticare con lo screening”.

fonte: osservatoriomalattierare.it/malattie-rare/malattia-di-fabry/15997-la-storia-di-maricia-roccaro-la-dottoressa-che-ha-scoperto-di-avere-la-malattia-di-fabry