I medici in prima linea nella lotta al Corona Virus

Intervista a Maricia Roccaro dottoressa siciliana in prima linea

Uno scenario apocalittico quello a cui stiamo assistendo in questi primi mesi del 2020. L’unità di crisi impegnata a trecentosessanta gradi senza tregua, per offrire la massima assistenza ai pazienti, in sinergia con i medici ed il personale paramedico. I camici bianchi lavorano con devozione ed impegno per garantire l’incolumità ai malati, a chi ancora non è stato contagiato e a loro stessi, Casi critici, gravi, le terapie intensive non contano più i malati per questo tipo di infezione, maledettamente difficile, malvagia a volte impossibile da debellare.

I dottori figure a tratti angeliche, per i degenti e per gli esseri umani tutti, devono sottoporsi a lunghe procedure di vestizione prima di iniziare a lavorare con i ricoverati, ambienti sterilizzati, igienizzati, disinfettati, asettici. La malattia dilaga, improvvisamente, in modo incontrollabile, iniziano le rigide restrizioni da parte dello Stato, il lock- down blocca il mondo ma non i medici, unica forza dell’intera popolazione.

Negli ospedali le sale di rianimazione lavorano incessantemente senza orario, i volti degli operatori sanitari sono segnati a sangue dalle mascherine tenute per ore sui visi. La conta dei morti terrorizza tutti, dottori compresi, non immuni al covid19, il virus man mano ha portato via anche i nuovi angeli terreni, ma che senza paura continuano a prestare la loro missione, donando la propria vita a servizio delle persone.

In questa agghiacciante quadro sociale troviamo la dottoressa Marcia Roccaro, da sempre impegnata sul sociale, che ha deciso di partire per l’ospedale civico di Settimo Torinese, centro Covid. Una scelta professionale molto intensa.

Maricia Roccaro, laureata in medicina e chirurgia nel 1995 con 110 e lode presso l’università di Catania, specialista con lode in nefrologia dal 2000, ha una lunga esperienza nel campo della medicina, rappresentando una delle eccellenze siciliane. Nata a Pachino ma ormai di adozione catanese ha prestato la sua attività di medico in diversi nosocomi di tutta Italia e Sicilia arricchendo notevolmente il suo bagaglio professionale a vantaggio dei pazienti curati dalla sua amorevole devozione.

Le sue competenze, legate al suo forte senso di umanità, sono state la sua spinta emotiva, per potersi adoperare come medico attraverso la sua associazione   Onlus, fondata, nel 2013- Humanity, che tiene a cuore anche i malati indigenti, una donna, una mamma un medico senza distinzione di ruoli o barriere.

La dottoressa Roccaro consigliere nazionale dell’associazione italiana Fabry Anderson (Aiaf), è coordinatrice per Catania e provincia della Rete Civica della Salute, ha ottenuto nell’anno 2018 il Premio Donna Siciliana.

Intervistata da Globus Magazine condivide con noi la sua esperienza di medico in prima linea nei tempi del Covid.

Arrivata all’ospedale civico di Settimo Torinese, qual è stata la prima sensazione che ha pervaso la sua persona come essere umano e come medico?

L’atmosfera è davvero molto particolare, tutto assume contorni unici, c’è un silenzio assordante, una gestualità un rispetto veramente particolari, l’aspetto umano si mischia con quello professionale. Le persone sono avvolte da una solitudine e una preoccupazione che è tangibile. Non puoi ignorarla perché ti tocca profondamente.

Il terzo piano dell’ospedale di Settimo torinese è totalmente dedicato ai pazienti Covid – 19 positivi.

Curare i malati di Covid19 è anche una sfida con sé stessi?

I primi giorni avevo un livello di sensibilità eccezionale, ogni sintomo anche se apparentemente banale avevo necessità di collocarlo, leggerlo, comprenderlo capire se si riproduceva su altri malati.

Non sono infettivologa, mi sono per questo trovata molto spesso a confrontarmi con colleghi più esperti; mi sono lentamente resa conto che il vero docente è il virus stesso è una lotta all’ultimo sangue e io davvero non potevo permettermi di distrarmi un solo secondo.

Ritengo di essere cresciuta moltissimo professionalmente.

Questa esperienza ha cambiato il suo modo di rapportarsi con la vita?

Quest’esperienza mi sta insegnando tantissimo, sia professionalmente dico e dirò sempre di non abbassare la guardia, fino a quando un malato non si negativizzi e questa è davvero una visione nuova nel vivere la mia professione.

C’è anche l’aspetto del confronto coi colleghi, non è vero che siamo tutti uguali… Ognuno di noi ha reagito in maniera diversa con questa tragedia c’è chi non è riuscito a farsi i conti con le proprie paure dimostrandosi codardo chi invece ha agito da eroe.

Secondo lei siamo pronti al rallentamento delle restrizioni sociali che verranno dettate dalla fase II?

Io penso che c’è talmente una tale differenza tra regione e regione che non si può adottare strategia comune.

Le restrizioni sociali sono d’obbligo come pure la gradualità nell’adottare le adeguate linee di condotta. Ora più che mai il senso civico deve pervade ognuno di noi. Ogni cittadino ha un ruolo fondamentale nella buona riuscita della fase 2

Vista la paura diffusa di frequentare gli ambienti medici e/o ospedalieri, pensa potrà prendere piede una nuova forma di diagnostica a distanza?

La telemedicina è uno strumento ora più che mai da adottare e da utilizzare in molti casi. Ci si sta lavorando e auspico davvero che ci sia un cambiamento di marcia in tal senso.

Certo il funzionamento di piattaforme digitali è anche legato al fatto che il paziente possieda strumenti compatibili e che le località interessate consentano una buona connessione, in tal senso ritengo sia opportuno investire risorse.

Come medico qual è il suo confine tra la paura ed il coraggio?

Un medico non può avere paura, o quantomeno non si può fare sopraffare dalla paura o da convenienze non legate alla propria missione e come dico sempre un medico non può scegliere malattie o pazienti da curare se no ha sbagliato mestiere. È sacrosanto adottare tutte le giuste precauzioni per preservare la propria salute ma non si può agire da disertori.

fonte: http://www.globusmagazine.it/184923-2